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Enciclopedia Didattica Delle Tastiere E Del Pianoforte: tutti gli stili, le tecniche e i segreti



L'accezione odierna del termine Studio è però più ristretta di quella che ora s'è mostrata pur legittima: anzitutto non s'intitola Studio la pagina in cui s'esponga un problema d'ordine componistico (modelli di variazione, di parafrasi, di trascrizione, ecc.), ma soltanto quella appartenente alla didattica dell'esecuzione; inoltre è assai raro questo titolo nella didattica dell'esecuzione vocale, ove è sostituito da altri: Solfeggio, p. es., Vocalizzo, ecc. E anche nell'ambito della strumentale esso si applica più specialmente a quel che si potrebbe dire un sottogenere: cioè, più che alla pagina di ragione esclusivamente didattica, esaurita nella meccanica ripetizione o ripresentazione della formula (e qui vige il nome di Esercizio) - più precisamente alla pagina di ragione estetica, in cui la formula è assunta come "partito" che al compositore suggerisce esplicazioni rapidamente attingenti all'architettura, cioè alla sintesi lirica. Lo Studio vi assume così una forma musicale ben disegnata, ora di canzone, ora di Sonata, ora di variazione e così via. Entro questi limiti si pone oggi lo Studio, usando praticamente questo nome anche per quelle pagine che - pur presentando i caratteri ora illustrati - non lo adottino esplicitamente come titolo sul frontespizio. Il che può accadere, p. es., trattandosi di opere anteriori al 1800 o dei primi lustri del secolo XIX: gli Studî contenuti nel Gradus ad Parnassum di M. Clementi (ediz. principe, 1819) sono ancora intitolati Esercizî, mentre i loro valori estetici emergono fino a consentire sottotitoli come, p. es., Scena patetica. Quelli di Paganini, Rode (per violino), di Boëly (pianoforte) e altri s'intitolano Capricci; quantunque la loro data sia già inoltrata. L'uso costante del nome Studio (e dell'altro: Esercizio), come anche la stretta delimitazione del relativo concetto sono dunque assai recenti. Il che nei secoli che videro le prime emersioni ed il primo rigoglio della musica strumentale può anche trovare ragione nell'analoga ambiguità, o almeno larghezza d'intendimenti, che si nota nella stessa figura delle pagine date per didattiche durante quel periodo che dal Rinascimento va al tardo barocco.




Enciclopedia Didattica Delle Tastiere E Del Pianoforte




In sostanza, nessuno di questi trattatisti, neppure lo stesso Correa de Arauxo, si rivolgeva allo scolaro, al puer; ma i loro volumi offrono allo strumentista, mediocre o no ma già praticante, sopra tutto una integrazione e, magari senza averne il chiaro intendimento, un'intesa dottrinale tra cappella e cappella, che presto assurgerà a intesa tra scuola e scuola, tra nazione e nazione. Il che già nel maturo Seicento era nelle necessità storiche più urgenti, quando la musica strumentale, già in decisa emersione ad arte autonoma e aulica, rapidamente moltiplicava in ogni luogo le sue fioriture. Ma proprio per tale rapido e grande rigoglio internazionale le esigenze della didattica s'avviano, nel Settecento a mutamento; molte delle abituali scompaiono o si evolvono notevolmente: scompaiono le diversità di notazione, obliandosi le decrepite intavolature; la trascrizione passa - da fondamentale - a marginale genere componistico; nuove esigenze invece compaiono, né tutte di scarso momento. La scrittura dei violinisti italiani si differenzia da quella dei francesi e dei tedeschi; la cembalistica, svincolata dall'organo, cerca e inventa suoi modi di realizzazione: prima, del contrappunto, poi, del dialogo, del cantante, ecc. Durante simile evoluzione, i valori componistici si svincolano dalle pratiche improvvisatorie in cui si confondevano spesso con quelli dell'esecuzione, e all'esecutore pongono liberamente nuovi problemi, talvolta ardui, di meccanismo e d'interpretazione.


A questi dapprima si provvede di solito affrontandoli direttamente, e cioè saltando dall'esercizio puramente meccanico all'opera d'arte. Il che spiega la singolare inversione di concetti, per la quale l'opera d'arte stessa è spesso considerata come opera didattica: D. Scarlatti, p. es., intitola Essercizî per gravicembalo (sic) una raccolta delle sue mirabili Sonate, e J. S. Bach riunisce sotto il titolo di Klavierübung quattro raccolte di composizioni libere tra le quali il Concerto nello stile italiano e le Goldberg-Variationen. Opere, queste dello Scarlatti e del Bach, la cui assimilazione è certo d'importanza somma per lo strumentista, ma che presuppongono una tecnica già evoluta e sicura. Non vi si trova, infatti, quella meditata esposizione di dati problemi ridotti al tipo, al comune denominatore, che abbiamo visto nelle opere moderne di didattica strumentale.


Se tale era ancora la pratica più diffusa, qualche eccezione cominciava a prodursi. Indichiamo tra queste le varie pagine, minori per mole ma spesso mirabili per valori estetici, destinate dallo stesso J. S. Bach all'istruzione strumentale dei suoi alunni e dei suoi stessi figliuoli: Invenzioni, Preludî, Fughette, Minuetti, Canoni, ecc., cui si possono aggiungere più ampie pagine d'interesse specialmente stilistico come i Preludî e Fughe del Clavicembalo ben temperato e altre ancora. Nelle prime possiamo ravvisare veri e proprî Studî nel senso moderno del termine: la formula strumentale suġgerisce una forma esteticamente valida. Nelle seconde possiamo vedere opere utili all'educazione del gusto e del senso formale: Studî, si direbbe oggi, d'interpretazione, il cui valore di didattica strumentale sta nell'adeguare l'esecuzione al risalto della polifonia. Ed è ovvio che non a tali Studî si deve chiedere uno spinto carattere formulistico: la scuola dell'eguaglianza di tocco, dell'indipendenza delle dita, dello staccato e del legato, del colorito semplice e del duplice (cioè della giustapposizione di registri e tastiere nell'organo e nel clavicembalo, oggi sostituite con le risorse dell'esecuzione), tutte queste e altre scuole trovano qui non tanto il loro metodo quanto il loro chiarimento, la loro "ragione" finale. Né sarebbe, d'altra parte, concepibile la riduzione a formula tipica del continuo e sempre nuovo problema strumentale che è la scrittura delle grandi polifonie bachiane. Meno assurda, se mai, l'ipotesi d'una possibile riduzione (esemplificazione, meglio potrebbe dirsi) a problemi cardinali di fronte alla pur ricchissima e varia scrittura di D. Scarlatti e dei clavicembalisti allo Scarlatti vicini. E infatti presso F. Durante, appartenente alla stessa corrente, troviamo talvolta elementi a ciò utili, come possiamo vedere in una pagina chiamata precisamente Studio, che propone successivamente varie difficoltà tipiche della tastiera scarlattiana: rapidità, assoluta eguaglianza e indipendenza delle dita, improvvisi mutamenti di digitazione (di "posizione" direbbe un violinista), incroci di mano e via dicendo. Come si vede, questo Studio (che inoltre è, se non il primo, certo tra i primi a recare il titolo) non ha una formula unica, ma anzi moltissime. La forma generale è quella dell'ouverture (v.) francese o "lullista" (cosa strana presso un allievo di A. Scarlatti): adagio-allegro fugato (l'assenza del 2 Adagio è frequente presso lo stesso G. B. Lulli e frequentissima presso i settecenteschi) e già l'adozione di tale forma può testimoniare dell'impegno artistico assunto dall'autore nonostante il titolo di studio; impegno pienamente assolto in questa bella composizione. Nei riguardi del contenuto strumentale interessano specialmente i punti seguenti: chiarezza e incisività di fraseggio, oltre che rapidità, per rendere efficacemente il carattere maestoso dell'introduzione:


Alla tastiera di D. Scarlatti penseranno del resto molti altri, e tra questi il fondatore della scuola pianistica propriamente detta: Muzio Clementi, che nello stile di Scarlatti compone alcune Sonate e delle esigenze da esso emerse tien conto, mirabilmente transvalutandole in senso pianistico, in più pagine del suo Gradus ad Parnassum (completato dal 1815 al 1826). I 100 Exercices dans le style sevère et dans le style elégant raccolti ordinatamente in questa opera possono assai meglio esser detti Studî, nella rigorosa accezione moderna: opere d'arte svolgentisi da un motivo (e attraverso il ripresentarsi di esso) che è la figura musicale d'una formula tecnica. Scale e arpeggi semplici o per terze, per seste, ecc., indipendenza delle dita, fioriture, fraseggio, legato e staccato, coloriti semplici o giustapposti, rilievo del cantabile o della polifonia, ecc., tutta insomma la scuola del pianoforte è in azione dall'uno all'altro di quei pezzi, opportunamente disposti sì da giustificare il titolo allegorico. Si vedano a tal proposito i passi d'una Suite compresa nel Gradus:


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